giovedì 3 ottobre 2019

LATINO Corso avanzato

Sulle guerre puniche (da Tito Livio)


Romani tribus bellis contra Chartaginienses pugnaverunt. Primum bellum fecit Romanos dominos insulae Siciliae et Sardiniae. Attilius Regulus clarus dux eius belli non dubitavit mortem occumbere pro salute patriae inter foeda tormenta. Secondo bello Punico Romani multas et cruentas clades toleraverunt. Nam Poeni cum duce Hannibale Romanos profligaverunt sed P. Scipio Poenos apud oppidum Zaman devicit et pacem componere cum Romanis coegit. Post aliquot annos Romani terbio bello Punico Carthaginienses ad estremam ruinam redegerunt et Carthaginem funditus everterum.



La sconfitta di Attilio Regolo durante la prima guerra punica






Cn. Cornelius consul a classe Punica circumventus et per fraudem, velut in conloquium evocatus, captus est.
C. Duillius consul adversus classem Poenorum prospere pugnavit, primusque omnium Romanorum ducum navalis victoriae duxit triumphum.
Ob quam causam ei perpetuus quoque honos habitus est, ut revertenti a cena tibicine canente funale praeferretur.
L. Cornelius consul in Sardinia et Corsica contra Sardos et Corsos et Hannonem, Poenorum ducem, feliciter pugnavit.
Atilius Calatinus cos. cum in locum a Poenis circumsessum temere exercitum duxisset, M. Calpurni, tribuni militum, virtute et opera evasit, qui cum CCC militibus eruptione facta hostes in se converterat.
Hannibal, dux Poenorum, victa classe cui praefuerat, a militibus suis in crucem sublatus est.
Atilius Regulus cos. victis nauali proelio Poenis in Africam traiecit.


Bellum in Africam traductum est.
Contra Hamilcarem, Carthaginiensium ducem, in mari Romani pugnaverunt et vicerunt: nam Hamilcar se recepit, quia multas naves perdiderat. Romani paucas amiserunt. Sed, cum in Africam advenissent, primam Clypeam, Africae civitatem, in deditionem acceperunt. Lucius Manlius Vulso et Marcus Atilius Regulus consules usque ad Carthaginem processerunt et, postquam multa castella vastaverunt, [...]

giovedì 20 dicembre 2018

piccolo vocabolario

Immanis = immane
Captus = colto
Autem =poi
Inquit = disse
Eodem modo = stesso modo
Culturus = participio del verbo colere = onorare
Regem = re
Ludibrio = barzelletta
Statim = subito
Detrahit = dal verbo detrahere = tirare giù
Vehementi ictu = colpo violento
Precipitat = far schiantare
Pronum = lungo e disteso
Clamans = participio di clamare= urlare in faccia
Idem = la stessa cosa
Paulo  ante = poco prima
Ridebas = dal verbo ridere = deridere
Vincula = catene
Conicità = dal verbo conicere = gettare
Convivium = banchetto
Solvit= dal verbo solvere= annullare

martedì 9 maggio 2017

mercoledì 8 marzo 2017

Quinto Orazio Flacco

« Dum loquimur fugerit invida
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero. »

« Mentre parliamo il tempo, invidioso, sarà già fuggito.
Cogli l'attimo, fiduciosa il meno possibile nel domani. »



Quinto Orazio Flacco, epicureo, pompeiano, maestro di eleganza e di ironia.




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testi in latino
Epodo XIII (vv.1-8)
Epodo XVII versi selezionati
Ode I,9 (intergrale)
ode I,11
satira II,9
testi initaliano
Ode IISatira II,1

martedì 21 febbraio 2017

Eneide VII - Alletto e Amata

Nata da Acheronte e dalla Notte il suo nome non ha ancora oggi un'etimologia univoca. Probabilmente significa "colei che non riposa", "colei che non dà requie", ma alcuni interpreti propendono per "l'indicibile", "colei il cui nome non può essere pronunciato".
Secondo la genealogia classica, Aletto e le altre Erinni nacquero invece dal sangue di Urano, sgorgato dalla ferita provocata da Crono.

Disse, e calò tremenda su la Terra;
e, dall'inferna tenebrosa sede
delle Dive crudeli evocò Alletto,
la Dea funesta che ha nel cuor discordie
 e vendette e calunnie e tradimento
Anche il padre Plutone, anche le sue
tartaree sorelle odian quel mostro,
tanti sono gli aspetti in cui si muta,
tanto son fieri i volti suoi, di tanti
serpenti fosco pullula il suo capo.
Con questi accenti l'istigò Giunone:
<<Fa' quest'opra per me, per me soltanto
vergine figliuola della Notte,
sì che infranti non cadano il mio nome
e l'onor mio, sì che non possa Enea
. congiungersi per nozze al re Latino
ed occupare l'itale contrade.
Tu puoi armare unanimi fratelli
l'un contro l'altro e sovvertir famiglie
con la discordia, tu scagliar flagelli
e fiaccole funeste entro le case;
mille hai nomi, mille arti di rovina.
 Orsù, riscuoti l'animo fecondo.
Rompi gli accordi. Semina dovunque
cause di guerra. La latina prole
armi gridi e domandi, armi brandisca.>>
Infetta di gorgònidi veleni
subito Alletto si calò nel Lazio
su l'alta reggia del signor laurente,
e scese nella tacita dimora
dove Amata era tutta in gran travaglio
e accesa d'ire e di femminei crucci
per le nozze di Turno e per l'arrivo
di quei Troiani. A lei scagliò la Diva
un serpente del cèrulo suo crine
e in seno glielo spinse entro i precòrdii,
sì che dal mostrò in gran furor gettata
 ella turbasse tutta la dimora.
Tra le vesti serpendo e il molle seno
si svolse quello senza pur toccarla
e insinuò non avvertito in lei
l'anima viperina e la follia;
poi sul collo divenne aureo monile,
divenne benda e le annodò le chiome,
<<Dunque agli esuli Teucri, o genitore,
darai sposa Lavinia? E della figlia
tu non senti pieta? Non di te stesso?
Non della madre, che il crudel ladrone
lascera qui se appena soffii il vento,
fuggendo con la vergine sul mare?
Non così dunque il dardano pastore
s'introducea nella città di Sparta
ed Elena ledea condusse a Troia?
Dov'è la sacra tua regal parola?
Dove l'amor dei tuoi? Dove la destra
data sì spesso al consanguineo Turno?[…].>>
Con queste voci ella tento Latino;
 ma come vide ch'egli stava immoto,
come fluì nei visceri profondi
quel veleno del serpe furiale
e in tutti i membri giù le si diffuse
allora sì la misera, invasata
e sconvolta da spettri spaventosi
a infuriar per la città si diede.
[…] <<Evoè, Bacco!>> urlava,
e gridava che degno eri tu solo
della fanciulla, che per te soltanto
il flessibile tirso ella impugnava,
solo per te moveva a cerchio in danza,
per te cresceva le prolisse chiome.
Volò la Fama, ed uno stesso ardore
trasse le madri, dalle Furie accese,
a cercar tutte insieme altre dimore.
Ed ecco, abbandonarono le case,
diedero al vento gli omeri e le chiome,
empirono di tremuli ululati
l'aëre e cinte di ferine pelli
impugnarono verghe pampinose.
Ella alzo forsennata in mezzo a loro
una fiaccola ardente, e intorno intorno
rigirando sanguigni occhi inneggiava
alle nozze di Turno e della figlia;



lunedì 20 febbraio 2017

Eneide VI - Andate all'Inferno!




da www.saint-seiya.it, sito di voraci appassionati di mitologia greca, moolto più scrupolosi del maestro Masami di cui, come me, tuttavia, sono grandi estimatori. Complimenti dalla Città delle frottole per l'equilibrio raggiunto tra profondità e linguaggio divulgativo!


TARTARO vs ELISIO
Non esiste un'unica versione sulla struttura dell'Ade: questa cambia in base all'autore e all'epoca storica. A partire da Omero, i vari poeti hanno inserito nuovi particolari, naturalmenet, spesso in contraddizione tra loro: ad esempio, nell'Odissea tutti i morti subiscono la stessa sorte, mentre nell'Eneide c'è la distinzione tra Tartaro (il nostro Inferno) ed Elisio (il nostro Paradiso). 

LA NASCITA DELL'ADE
L'Ade (Regno dei Morti, Inferi, Oltretomba, Averno, Orco, Erebo o Tartaro) è un luogo tenebroso situato all'interno della terra, temuto persino dai futuri Dei olimpi. 
Secondo la Teogonia di Esiodo, primissimo tra tutti nacque il Caos, poi la Terra (Gea). Dopo di lei apparvero Tartaro (luogo di punizione delle anime malvagie) ed Eros (l'amore). Da Caos nacquero Erebo e la nera Notte. 


ENTRATA 



Tutti i morti, buoni o malvagi, giungono nell'Ade attraverso una delle tante voragini aperta nel terreno. L'Ade, infatti, comunica con l'esterno tramite tutti quei luoghi della superficie terrestre che emanano vapori sulfurei, ribollono di lava o si spalancano in tetre voragini. 
In rari casi, anche i vivi possono accedere al Regno dei Morti. Ad aver visitato da vivi il regno dei morti sono Ulisse, Enea, Ercole, Orfeo, Teseo, Pirotoo. 
L'entrata può essere situata:
- nella più remota parte occidentale, dove non giungevano i raggi del sole.
- in Sicilia, sul monte Etna.
- il Capo Tenaro, all’estremità del Peloponneso.
- caverne di Colono vicino ad Atene.

- nella costa ionica della Grecia, nella baia di Ammoudia. Ora il luogo è cambiato per opera dell'uomo, ma un tempo, vicino alla palude Acherusia, c'era l'Oracolo dei Morti (Necromànteion). L'oracolo rimase in attività fino alla conquista romana, nel 176 a.C. Secondo gli antichi, la regione circostante, che si allunga tra il golfo, la riva destra dell'Acheronte e le montagne, era popolata dai leggendari Cimmeri, foschi abitanti delle tenebre, usi a vivere sottoterra senza mai uscire alla luce del giorno. 

- presso Cuma, in Campania, nelle vicinanze del lago Averno, formato dal cratere di un vulcano profondo, circondato da rupi e pieno di esalazioni mefitiche. Secondo l'etimologia, Averno vuol dire "senza uccelli" ed effettivamente gli uccelli non vi potevano vivere a causa delle esalazioni. 

I greci che da tempo popolavano le colonie campane non si rassegnarono ad accettare, come dimora dei morti, una terra d'origine ormai troppo lontana (la baia di Ammoudia) e provvidero per tempo a trasferire la sede dell'oltretomba in un luogo più accessibile, scegliendo i Campi Flegrei. Qui una moltitudine di crateri, la natura selvaggia, il suolo ancora ribollente, la tetra immobilità delle acque raccolte nei vulcani spenti, fornirono gli elementi di una facile identificazione. Anche questa, quindi, potrebbe, essere la terra del leggendario popolo dei Cimmeri. 

Per secoli, i Greci prima, e i Romani poi, venerarono la sacralità del luogo. Ma i Quiriti badavano al sodo e in epoca augustea, quando si rese necessario un efficiente arsenale vicino a Pozzuoli, Agrippa non si lasciò intimidire dagli Dei Inferi e scelse il lago come sede di un cantiere navale. Fu allora che Virgilio vide il sito e, suggestionato forse dall'atmosfera misteriosa della ciclopica galleria, lo descrisse nel VI libro dell'Eneide narrando il viaggio oltremondano dell' eroe. Il lago senza vita fu così immortalato nella grande poesia epica proprio nel momento in cui le devastazioni delle guerre civili e l'irreligiosità crescente gli avevano ormai violato ogni carattere arcano e sacrale. 

"C'era una grotta profonda e immensa per la sua vasta apertura, rocciosa, protetta da un nero lago e dalle tenebre dei boschi, sulla quale nessun volatile impunemente poteva dirigere il proprio volo con le ali, tali erano le esalazioni che, effondendosi dalla nera apertura, si levavano alla volta del cielo." 


 
I CORSI D'ACQUA 
Un tempo si pensava che tutti i fiumi della terra confluissero sottoterra nel baratro immenso del Tartaro, per poi defluire e assumere aspetto diverso a seconda della natura del terreno. Alcuni fiumi sotterranei, prima di riversarsi nelle profondità del Tartaro, percorrono numerose gallerie; altri ancora circondano la terra con uno o più giri a spirale, come dei serpenti, fino a scendere al centro della terra (non oltre perchè altrimenti ci sarebbe una salita verso l'emisfero opposto). 
Quindi, è cosa certa è che in Ade sono presenti diversi corsi d'acqua, anche se la loro disposizione viene riportata diversamente a seconda delle fonti. Alcuni corsi d'acqua, che possono essere fiumi o paludi, scorrono lenti e minacciosi, altri avere correnti violente o infuocate. I principali sono: 
Acheronte, il fiume del dolore o dei guai: nominato per la prima volta nell'Odissea, spesso è descritto come il fiume principale, che circonda l'Ade ed è situato subito dopo l'ingresso. La sua riva è sempre colma della infinita torma dei morti, in attesa di Caronte, il traghettatore. 
Questi è un vecchio di orribile squallore, ma dagli occhi fiammeggianti come brace e dalle membra ancor piene di vigore. Per traghettare le anime dei morti sull’altra riva, si serve di una grossa barca, vecchia e malandata. Trasporta solo i morti che possono pagarlo con l'obolo, un'antica moneta greca che i parenti pongono in bocca prima degli onori funebri (secondo Virgilio, trasporta solo quelli che sono stati sepolti); gli altri devono aspettare 100 anni (secondo alcuni, per l'eternità), in una lunga attesa che è per loro causa di indicibile tormento anche se sanno che, al di là del fiume, li attende una pena terribile ed eterna. 
- (Piri)Flegetonte, fiume del fuoco: circonda il Tartaro (che secondo alcuni è una sezione dell'Ade) e ogni tanto lo rischiara con le sue vampe di fuoco. Secondo Omero, si unisce al Cocito nel formare l'Acheronte. Secondo Platone, si riversa in una grande pianura arsa da fuoco violento e forma una palude più grande del mare, tutta ribollente d'acqua e di fango; da qui scorre circolarmente, torbido e fangoso e, sempre sotto terra, volge a spirale il suo corso fino a giungere alle estreme rive della palude acherusiade, ma senza mescolare le sue acque; dopo molti altri giri sotterranei, si getta in un punto del Tartaro che è più in basso. Il Piriflegetonte riversa sulla terra torrenti di lava dovunque trovi uno sbocco. I mitografi e i poeti immaginarono che vi si punissero i violenti. 
Stige, fiume dell'odio: esistono più versioni di questo fiume che, secondo alcuni, è invece una squallida palude. Secondo Platone, Stigia sarebbe il fiume, caratterizzato da un colore blu cupo, mentre Stige sarebbe il nome dato alla palude che forma. 
Stige è considerata essa stessa terribile divinità (un'Oceanina figlia della Titanide Teti, oppure figlia della Notte e di Erebo). 

Secondo Omero ed Esiodo, la sua acqua ha proprietà magiche e proprio in questo fiume la Nereide Teti avrebbe immerso il figlio Achille per renderlo invulnerabile; e sull'acqua di Stige giurano gli dei, che subiscono castighi terribili se non rispettano il giuramento (per un anno il dio giace senza respiro, avvolto nel torpore e non può avvicinarsi al nettare e all'ambrosia; poi per nove anni non può avvicinarsi agli altri dei). Gli effetti dello spergiuro sono in un branodella Teogonia di Esiodo, che offre altri particolari sulla natura di quest'acqua fatale: essa rappresenta un braccio dell'Oceano, equivalente a un decimo del fiume iniziale, e forma con gli altri nove le nove spire con cui il fiume circonda il disco della terra. Questa cifra delle nove spire si ritrova nella descrizione virgiliana dello Stige infernale, il quale circonda con i suoi meandri il regno degli Inferi. Nell'Odissea lo Stige è più chiaramente definito come fiume; poi, nella tradizione posteriore, la figura della divinità tende a scomparire e prevale un'antichissima tradizione che fa derivare dallo Stige fiumi terrestri, o addirittura l'identifica in corsi d'acqua o paludi, presso le quali sarebbe stato l'ingresso dell'oltretomba. 

Cocito, fiume dei lamenti o del pianto: menzionato già da Omero come affluente dell'Acheronte e ramo dello Stige. In esso sono immersi, secondo la descrizione di Platone nel Fedone, gli omicidi. Il Cocito acquista una corrente violenta a partire dalla palude Stige, si inabissa e scorre a spirale, in senso contrario al Periflegetonte, fino a toccare, dalla parte opposta, le sponde della palude acherusiade; ma nemmeno questo fiume vi mescola le sue correnti e, dopo aver compiuto un largo giro, si getta nel Tartaro dalla parte opposta al Periflegetonte. 

Secondo Virgilio, è una palude stagnante di fango nero e canne deformi. Nell'Inferno dantesco, così come in Saint Seiya, il Cocito è la confluenza di tutti i fiumi infernali ed è ghiacciato nell'ultimo girone dei traditori. 

Palude acherusiade: citata da Omero e Platone, è la palude principale situata all'ingresso dell'Ade. E' formata dalla acque dell'Acheronte, del Flegentonte e del Cocito. Secondo Platone, qui si raccolgono le anime di coloro che hanno condotto una vita mediocre. 

Lete, fiume dell’oblio: non nominato da Omero, secondo Virgilio è il fiume che attraversa l'Elisio; chi beve o si immerge nella sua acqua, perde la memoria della sua vita passata e può quindi reincarnarsi in un altro corpo. 

In un'altra versione, non c'è il Lete, ma due cipressi bianchi dove sgorgano due fontane: quella dell’Oblio e quella della Memoria. Le acque della prima cancellano il ricordo della vita passata, quelle della seconda rinnovano la memoria delle cose amate. 



LA SORTE DELLE ANIME SECONDO OMERO 

In Omero non c'è ancora una distinzione tra i buoni e i malvagi. Salvo eccezioni, tutte le anime subiscono la stessa sorte: non appena muoiono, raggiungono l'Ade, dove vivranno per sempre sotto forma di ombre incorporee, che hanno le sembianze dei loro corpi. Risiedono probabilmente tutte nel Prato degli Asfodeli, luogo monotono, senza dolori, ma anche senza gioie, senza un futuro e senza la luce del sole. Lo stesso Achille si lamenta per la sua sorte: 

Odissea, Libro XI: 

"[Ulisse] "Ma, o forte Achille, uomo più beato di te non ci fu, ne mai ci sarà. Da vivo, come un dio, ti onoravamo ed ora tu regni sopra i defunti. Come puoi lamentarti di essere morto?" "Non consolarmi della morte" ad Ulisse replicava Achille. "Preferirei piuttosto fare il servo d'un bifolco che campasse giorno per giorno di uno scarso e misero cibo, piuttosto che essere sovrano nel regno dei defunti." 

Le anime dei pochi che hanno osato offendere gli dei risiedono insieme agli altri, ma sono costretti a partire in eterno delle pene "personalizzate": ad esempio Tizio, colpevole per aver violentato Latona, sposa di Zeus, è circondato da due avvoltoi che gli rodono il fegato. 


SECONDO VIRGILIO NELL'ENEIDE 
Orfeo ha suonato la lira per ammansire Caronte e gli altri spiriti infernali che altrimenti lo avrebbero sbranato. 
Per questa ragione, Enea ha bisogno di una guida, non tanto per entrare in Ade, che è cosa facile, ma per uscirne illeso. Si rivolge quindi alla Sibilla Cumana, che gli ordina di sacrificare pecore nere e gli indica dove procurarsi un ramo d'oro da donare a Proserpina (nei pressi del lago Averno). 
Una volta effettuato il sacrificio, si apre il terreno e compare il passaggio che condice all'Ade. 
- Nel vestibolo infernale si trovano: la personificazione dei mali dell'uomo (il Lutto, gli Affanni, le Malattie, la Vecchiaia, la Paura, la Fame, la Miseria, la Morte, il Dolore, il Sonno, i Piaceri, la Guerra, le Eumenidi, la Discordia), un olmo ombroso sotto le cui foglie sono attaccati i Sogni fallaci, e numerosi mostri (i Centauri, le Scille, Briareo, l'idra di Lerna, la Chimera, le Gorgoni, le Arpie e Gerione). In realtà, si tratta solo di ombre senza corpo quindi non sono pericolose. 
- Dopo, c'è il fiume Acheronte; qui un gorgo torbido di fango ribolle in una vasta voragine ed erutta tutta la sua melma nel CocitoCaronte traghetta le anime dall'altra parte (attraversando sia l'Acheronte che lo Stige), ma solo quelle che hanno avuto sepoltura. Le altre devono vagare per 100 anni in quella boscaglia acquitrinosa. Caronte si rifiuta di trasportare persone vive, soprattutto se armate, ma fa un'eccezione quando Enea gli mostra il ramo d'oro. 
- All'ingresso di trova Cerbero, che viene fatto addormentare con delle focacce soporifere. Viene anche citato Minosse che fa da giudice, ma non è specificata la sua sede. E' da precisare che le anime sono incorporee e che, a differenza di Omero, sono tutte pienamente coscienti e, riconoscendo Enea, si comportano come avrebbero fatto in vita (Didone piange e non gli rivolge la parola, i Troiani lo avvicinano, i Greci hanno timore...). 
- Vicino all'entrata c'è una specie di antinferno, nel quale sono radunate le anime dei morti anzitempo: i bambini e i condannati a morte per un'ingiusta accusa. Lì vicino ci sono le anime dei suicidi, circondati dallo Stige. 
- Nei Campi del Pianto, formati da una selva di mirti, si celano coloro che sono stati consumati da un amore crudele (in genere, tutti coloro che si sono suicidati per amore, compresa Didone). Anche dopo la morte, sono tormentati dai loro affanni. 
- Quasi alla fine dei Campi del Pianto, risiedono coloro che sono morti in guerra. L'apparenza delle loro anime riporta ancora le ferite di battaglia. 
- Dopo i campi, c'è un bivio: la destra tende verso la reggia di Dite ed è la via che porta verso l'Eliso; invece la sinistra tiene vive le pene dei malvagi e conduce all'empio Tartaro. 
- Il Tartaro
"Sotto una rupe a sinistra vede vaste mura circondate da un triplice baluardo che il Tartareo Flegetonte, fiume dalla rapida corrente, lambisce con fiamme roventi e travolge risuonanti macigni. Di fronte si trova una porta enorme e colonne di solido acciaio, che nessuna forza di uomini né gli stessi dèi abitatori del cielo potrebbero distruggere con la guerra; s'eleva ferrea la torre nell'aria e Tisifone sedendo, avvolta in una veste insanguinata, di notte e di giorno è l'insonne custode del vestibolo. Qui si odono gemiti e risuonano crudeli percosse, poi uno stridore di ferro e catene trascinate. 

[...] Radamanto di Cnosso governa questi regni tanto dolorosi, castiga, ascolta le colpe e costringe a confessare le colpe commesse tra i vivi che qualcuno, lieto dell'inutile frode, rimandò di espiare oltre la morte lontana. Subito dopo la vendicatrice Tisifone armata di un flagello sferza oltraggiando i colpevoli e agitando minacciosa i contorti serpenti con la sinistra chiama la crudele schiera delle sorelle. Allora finalmente si aprono le porte maledette stridendo con orribile suono sul cardine. Vedi quale custode siede nel vestibolo? Quale figura è a guardia delle porte? Più crudele di questa l'Idra immane con cinquanta nere bocche spalancate ha qui dentro la sua sede. Poi il Tartaro stesso si apre come un precipizio e si stende sotto l'oscurità per due volte tanto quanto la vista del cielo si estende fino all'etereo Olimpo. Qui l'antica prole della Terra, la gioventù dei Titani abbattuti dal fulmine, si voltola nel basso profondo. 

[...] Qui si trovano coloro che vendettero la patria, odiarono i fratelli mentre durava la vita o percossero il padre o ordirono qualche frode a un protetto o coloro che da soli guardarono ammassate ricchezze e non le divisero coi loro parenti (questa è la folla più grande), e quelli che furono uccisi per adulterio o seguirono empie armi o non esitarono a tradire il giuramento fatto ai padroni: rinchiusi qui aspettano la pena. Non chiedere di sapere quale pena o quale tipo di scelleratezza o destino abbia sommerso questi uomini. Alcuni rotolano un sasso immenso e pendono legati ai raggi delle ruote." 


- A destra si trova la reggia di Dite, le cui mura sono state costruite dai Ciclopi. Dopo aver offerto il ramo d'oro a Proserpina, Enea può proseguire. 


Eliso"Qui un cielo più ampio avvolge in una luce purpurea i campi che hanno un sole proprio e proprie stelle. Parte esercitano le membra in palestre erbose, gareggiano nel gioco e lottano sulla fulva arena; parte ritmano danze coi piedi e recitano versi. A terra stanno piantate le lance e cavalli senza briglia pascolano qua e là per il campo. A destra e a sinistra ne vede altri che banchettano sull'erba e cantano in coro un lieto peana in mezzo a un odoroso bosco di alloro, dal quale scorre abbondante il fiume Eridano (il Po), arrivando fin sulla terra." 

Nell'Eliso ci sono eroi di guerra, casti sacerdoti, veggenti, artisti, persone meritevoli. Tutti hanno una fascia bianca sulle tempie. Non hanno una dimora fissa, ma gironzolano in giro per i prati, occupandosi delle loro attività preferite. 

- I Campi Elisi sono attraversati anche dal fiume Lete, situato in una valle appartata in un bosco isolato. Lì si riuniscono molte anime per bere l'acqua della dimenticanza e reincarnarsi sulla terra in un nuovo corpo. 

Anchise spiega ad Enea la teoria della metempsicosi

"Innanzitutto uno spirito vivifica dentro il cielo e le terre e le liquide distese e il globo luminoso della luna e l'astro Titanio (il Sole) e un'anima diffusa per tutte le parti del mondo muove la massa terrestre e si mescola al grande corpo. Di qui ha origine la stirpe degli uomini e degli animali e le vite degli uccelli e i mostri che il mare produce sotto la distesa marmorea delle acque. Questi semi (ogni essere vivente è un seme, cioè una particella staccata dall'essere universale) hanno un'energia ignea e un'origine celeste finché corpi nocivi non li rendono lenti e non li rendono ottusi gli organi terreni e le membra mortali. Per questo temono e bramano, si dolgono e godono e, chiuse le anime dalle tenebre e nell'oscuro carcere corporeo, non scorgono il cielo. Anzi, quando la vita nell'estremo giorno le ha lasciate, ogni male e tutte le malattie del corpo non si allontanano completamente dalle meschine anime, ma è destino che molti vizi, a lungo induritisi, attecchiscano profondamente in strani modi. Per questo sono gravate dalle pene e pagano le pene di antiche colpe. Alcune sospese sono distese ai venti leggeri, per altre il delitto commesso è lavato sotto un vasto gorgo ed è bruciato dal fuoco; ognuno soffre i suoi Mani; in seguito siamo mandati nel vasto Eliso e pochi occupiamo i lieti campi, finché un lungo giorno, compiuto il grande ciclo del tempo, cancella la macchia contratta e lascia puro lo spirito celeste e il fuoco della luce purificata. Tutte queste anime, quando per mille anni avrà finito di girare la ruota, il dio chiama al fiume Letè in grande schiera, s'intende affinché immemori rivedano le volte celesti e comincino a desiderare di voler tornare di nuovo nei corpi."

Le anime dell'Elisio sono in grado di prevedere il futuro e sapere in chi si reincarneranno tutti. 
- Ai confini dell'Elisio, per uscire dagli Inferi, ci sono le due porte del Sonno: la porta fatta di corno è riservata alle vere ombre dei morti, per permettere loro di manifestarsi ai propri cari e tramettere sogni veritieri; l'altra porta è di candido avorio, destinata ai sogni fallaci e ai corpi viventi.